Una delle tradizioni più importanti e famose di questo paese, per certi versi ancora poco conosciuto alla maggioranza dei turisti, è l’attività della falconeria.
La falconeria ha origini molto antiche, tanto che diversi studiosi sono concordi nell’indicare il II millennio a.C. come il periodo in cui è nata la falconeria in Asia. I primi contatti dei popoli europei con questa attività risalgono al periodo delle invasioni barbariche, in quanto le tribù dei popoli germanici praticavano una sorta di rudimentale falconeria.
Per molto tempo si è assistito ad una evoluzione di due tradizioni, quella orientale e quella occidentale, le quali, soprattutto durante il periodo delle crociate, si “confronteranno” e si “evolveranno” attraverso una sorta di scambio di esperienze. L’imperatore Federico II, in particolare, fu l’artefice della creazione di un centro di ricerca che riuniva i migliori maestri dell’arte sia orientali che occidentali, che permise uno stretto contatto tra le tradizioni e uno scambio di metodologie, pur non giungendo ad una vera e propria fusione.
A causa della sua simbologia, il falcone svolgeva un ruolo di primaria importanza, tanto che una delegazione di falconieri era sempre presente in occasione della stipula di trattati importanti.
Il primo occidentale a descriverli in Mongolia fu Marco Polo; l’eleganza, la regalità con la quale Kublai Khan, da autentico sovrano, teneva l’aquila sul braccio, evidentemente colpì molto il nostro esploratore veneziano. Già allora, nella seconda metà del XIII° secolo, la caccia con le aquile era praticata dai regnanti come esibizione di potere, con migliaia di falconieri che accompagnavano il feroce condottiero mongolo nella caccia alla selvaggina.
Da sempre patria dei nomadi, la Mongolia è uno dei paesi che meglio conserva le proprie tradizioni, soprattutto nella Mongolia occidentale, dove circa 250 falconieri praticano ancora la caccia con l’aquila.
Circa 200 anni fa, l’avanzata dell’impero russo fece fuggire diversi gruppi nomadi del Kazakistan oltre i confini della Mongolia, trovando rifugio nella provincia di Bayan Olgii. Rifugiati in una terra di estremi, dalle temperature che possono raggiungere i -45°C durante gli inverni più rigidi, e in compagnia dei loro fidati cavalli, i kazaki tentarono di preservare la loro cultura basandosi sulla sola trasmissione orale di usi, costumi e pratiche centenarie.
Con loro portarono anche l’antica tradizione della caccia con l’aquila. I kazaki sono coloro che hanno saputo preservare meglio e custodire l’arte della falconeria all’interno della Mongolia. Hanno tre termini distinti per definire chi pratica la falconeria: qusbegi (“signore degli uccelli”) era un titolo riservato ai falconieri alla corte dei khan; sayatshy indicava invece un “professionista della falconeria”; il termine burkitshi, infine, era la definizione per chi praticava la caccia con l’aquila.
Attualmente i circa 250 falconieri che cacciano con le aquile nella regione di Bayan Olgii, tra i Monti Altai seguono la tradizione che prevede di cacciare con i rapaci a dorso di cavallo, attaccando principalmente volpi rosse, marmotte, lepri e conigli selvatici.
L’aquila reale è uno dei rapaci più grandi e possenti: lunga dai 70 ai 120 centimetri, può pesare fino a 7 kg ed è dotata di artigli poderosi e un becco letale per ogni piccolo animale che riescono a catturare. Tradizionalmente vengono utilizzate solo aquile femmine, più grandi e feroci dei maschi.
Catturare un piccolo di aquila dal proprio nido è la prima cosa che si deve imparare e non è certo un’operazione semplicissima. Ci si avvicina al nido, sempre ben nascosto e in vetta alle montagne, quando mamma aquila è uscita per la sua personale battuta di caccia e lo si fa proteggendosi il corpo con una specie di scudo per mimetizzarsi meglio.
Una volta sottratto l’aquilotto, che sarà sempre femmina perché più robusta e aggressiva, verrà portato nel campo dove inizia un lungo periodo di addestramento che va da giugno, il momento in cui vengono prelevati dal nido, fino ad ottobre, e che consisterà in una dieta costituita a base di carne di lupo e di volpe rossa per abituarla all’odore delle prede che l’aquila un giorno caccerà. La stagione della caccia viene solitamente svolta nei mesi invernali, da novembre fino a marzo, con temperature che toccano i 40 gradi sotto lo zero.
Una volta tolto il cappuccio dalla testa l’aquila si stacca dal braccio del cacciatore, librandosi nelle immense distese imbiancate e volando anche per 10 chilometri nella steppa fino a piombare sulla preda, ghermirla e attendere l’arrivo del cacciatore. Fra i due ci sarà un patto: all’aquila andrà la carne della preda, al cacciatore la pelliccia per farne indumenti.
I cacciatori con le aquile hanno un loro codice etico e, pur tenendo in un certo qual modo prigioniera l’aquila, che comunque torna sempre dal cacciatore dopo ogni battuta di caccia, a 9 anni viene lasciata libera per sempre, di solito in estate, quando non avrà nessun problema a trovare le sue preda; per questo motivo, una volta liberata, non farà più ritorno.
Ogni anno tradizionalmente nel periodo tra settembre a ottobre, a 10 km circa dalla cittadina di Olgiy, proprio alle pendici dei monti Altai, viene celebrato il Festival delle Aquile, dove decine di cacciatori e falconieri provenienti dalle valli dei monti Altai si incontrano per sfidarsi in gare di abilità.
Il Festival delle Aquile è dunque il modo più indicato per conoscere a fondo questo antico popolo di pastori che, per l’occasione, indossa vestiti e gioielli tradizionali. Un autentico momento di aggregazione dove la tradizione si fonde alla storia, evidenziando in maniera significativa le peculiarità di un popolo unico nel suo genere
Di seguito il link ai nostri viaggi in Mongolia per scoprire le tradizioni della falconeria: